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domenica 24 febbraio 2013

CULTURA: PUBBLICO O PRIVATO?

In queste ore gli italiani stanno scegliendo chi li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna l'attenzione è caduta anche sul modo di sostenere la cultura, un bene fondamentale per il nostro Paese. Tanti lavoratori (attuali e potenziali) sono interessati a questo argomento e quindi è bene che anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato (e non ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni, “con la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla dicendo che è “una boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante capire da dove essa tragga origine: indubbiamente da una visione rozza e semplicistica dell'andamento e dello sviluppo della nostra società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la cultura) pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio fisso agli operatori della cultura. Si è fatta strada allora una “terza via” quella di promuovere l'intervento dei capitali privati nella cultura, con un mix di soluzioni a volte rimaste solo a livello di intenzioni a volte con risultati contraddittori e comunque a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un po' anche sul mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di “schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste vicende le ha seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere un tratto caratterizzante dell'evoluzione di questa diatriba fino ai nostri tempi. Ossia che una volta si combatteva in nome di una ideologia, poi, più avanti, la motivazione era individuabile nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti sia le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si parte dalla propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di partiti, da lì si cercano poltrone, occasioni di lavoro, finanziamenti o, quanto meno, uno stipendio fisso e, sempre per i soldi, si è disposti a fare, in campo culturale, il salto della quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti rivoluzioni di pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla nostra Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione e, come noto, l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può fare e andare dove meglio crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto potenziali) del cosiddetto settore culturale hanno ormai imparato (come quelli dell'istruzione o dell'università) a non farsi eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli di studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di incrementare anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare, farsi una famiglia o migliorare la vita di quella che già si ha. Noi non abbiamo pregiudiziali ideologiche nei confronti del ritorno (in realtà più o meno ci sono sempre stati) dei Mecenati (i privati) nella cultura italiana oppure nei confronti di meccanismi di incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei quali l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o improbabile per scarsa convenienza economica. Diciamo solo che non si può ridurre la lotta sindacale nella mera difesa di posti e retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché, anche in caso di vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico dei vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover seguire gli input politici della classe dirigente al governo in quel momento e che magari ti ha fatto il “favore” di “salvarti” a spese del contribuente. Non sarebbe più una cultura veramente libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la cultura derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso dei privati . Non parliamo poi della nefasta esperienza della lottizzazione politico-partitica di tante istituzioni culturali. E ovviamente non si può chiedere a un sindacato che abbia a cuore gli interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi processi e operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura, se si ritengono veramente portatori di istanze decisive per una società migliore, devono cominciare, su queste questioni (che riguardano il prosieguo o i presupposti di una loro eventuale attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro testa che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni nei quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato il loro destino. E dire se per loro è più importante considerare come traguardo il posto e lo stipendio fisso oppure iniziare a rischiare con tutti quei cittadini che, da altri punti di partenza, sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di sicurezza. Come possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più avanzati di convivenza civile se continuano ad affidare e a incanalare le proprie speranze in organismi che li hanno sempre mal sopportati e trascurati e che nella migliore delle ipotesi cercano di tener buoni con uno stipendio fisso (temporaneo) o con finanziamenti clientelari alle loro iniziative? E non instaurando invece un dialogo vero con tutti i cittadini, anche quelli politicamente e socialmente più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non cadete nel ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più distanti da voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo le idee di quell'intellettualità che da tempo individua modelli diversi e alternativi di sviluppo, culturale e materiale.

PRECARI SCUOLA: 300 MILA CAUSE?

Un docente precario di educazione fisica e di sostegno ha fatto causa al MIUR per mancata stabilizzazione e ha ottenuto dal giudice del lavoro di Trapani un risarcimento di più di 150 mila euro.
Il giudice ha tenuto conto dei recenti orientamenti della giurisprudenza e delle norme nazionali e comunitarie a tutela dei lavoratori e riconosciuto all'insegnante i danni subiti per lucro cessante e danno emergente causati dalla mancata stabilizzazione. E per i possibili mancati contratti.La domanda è: visto l'elevato tasso di complicità dei sindacati rappresentativi con le gerarchie ministeriali questa notizia verrà adeguatamente diffusa? E si faranno avanti sindacati disposti ad organizzare e coordinare la possibilità che 300.000 precari possano essere dal futuro governo stabilizzati o risarciti? E eventuali sentenze favorevoli saranno eseguibili o verranno riversate su noi contribuenti con una ulteriore mazzata fiscale?
Per quanto ci compete, rileviamo solo che ha inciso più, sulla questione, una sentenza della magistratura che l'azione di anni di sindacati forti e rappresentativi solo sulla carta che non hanno saputo fare, come forze sociali, il loro dovere. Se i lavoratori, nel Pubblico Impiego, vorranno ottenere qualcosa e presto dovranno evidentemente affidarsi a Sindacati non compromessi con la Politica e con l'Alta Dirigenza e che puntino più al sodo.Non sempre ci sarà un Giudice a Berlino...

domenica 17 febbraio 2013

LAVORO: PARTITA DAL PORTO FORNERO, UNA ZATTERA ALLA DERIVA NELLA NOTTE GALLEGGIA SULLA PALUDE DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI. I TRE MAGGIORI SCHIERAMENTI DISCORDI SUL DOPO ELEZIONI.

E' di pochi giorni fa l'ultimo richiamo dell'OCSE che come al solito, all'italiana, verrà letto dagli interessati, in più maniere tra loro contraddittorie. Dice l'OCSE che più che il posto, va protetto il reddito del lavoratore. Ma i soldi per farlo, in Italia, ci saranno?Le leggi, infatti, come noto, non producono di per sé nuove risorse.Anzi, per raggiungere l'obbiettivo spesso ne richiedono di nuove. Sempre OCSE sostiene che ciò influirebbe sulla migliore dislocazione della forza lavoro. Ma già qui emerge una divergenza di impostazione tra una Europa liberista, che ipotizza un processo di causa -effetto spontaneo e una visione italiana statalista e dirigista che unanimemente ritiene che questi processi vadano guidati da politiche attive del lavoro (per la verità solo nell'ultimissima comunicazione l'OCSE ne fa cenno, senza troppa convinzione) , mai realmente fatte in decenni nonostante le decine di migliaia di dipendenti pubblici impegnati nelle relative amministrazioni di cui non si vuole ammettere , per motivi clientelari, l'inutilità. Sarà dura realizzare la flessibilità in entrata e uscita richiesta dall'OCSE quando la mentalità prevalente è quella che l'una e l'altra parte , nelle due fasi, debbano essere più brave a fregare la controparte che a rispettare regole di correttezza e civiltà. Tutto un altro mondo, quindi. In ogni caso in Italia, prima del 2017 un sistema universale di protezione sociale per chi perde il lavoro non sarà realizzabile e quindi su questo, per il momento, a meno che non siano scoperti pozzi di petrolio in Via Flavia, è meglio mettersi l'anima in pace e proseguire coi vecchi ammortizzatori. Già il Fondo Monetario Internazionale aveva cominciato a snocciolare questo libro dei sogni: riforma della giustizia, riforma tributaria, riforma della scuola e dell'università, no ai condoni, ridurre il cuneo fiscale,liberalizzazioni, privatizzazioni, ecc. Con un po' di ritardo forse: qualcuno dovrebbe spiegare all'OCSE che in Italia le tasse universitarie è inutile aumentarle ancora visto che ormai gli studenti stanno abbandonando le facoltà sia per i già alti costi sia per l'inutilità della laurea nell'attuale mercato del lavoro. E con troppa prudenza, visto che lascia la porta aperta e quindi ammette una modulazione temporale degli interventi in tutti i settori di cui si propone la riforma compatibilmente con le esigenze di bilancio. Quindi se ne parlerà tra anni. Per cui: parole al vento. Nel frattempo la riforma Fornero si delinea (lo dicono gli imprenditori e non stranamente quei partiti che dicono di voler rappresentare il lavoro dipendente, il più colpito dal capolavoro della professoressa torinese) come un disastro epocale. . Ha aggravato i costi nell'utilizzo di apprendistato e lavoro a termine, ha concorso alla perdita di ulteriori 320 mila posti di lavoro e a un tasso di disoccupazione, specie giovanile, che da tempo non si riscontrava. Le aziende fanno sempre meno contratti, soffocate da burocrazia asfissiante e oneri inutili. Il contratto di apprendistato è affondato per l'aumento della contribuzione, per il vincolo di stabilizzazione e, per la verità, anche per i ritardi delle Regioni. Analoghe disavventure per il contratto a tempo determinato, grazie all'aumento della contribuzione, non riequilibrato dal premio di stabilizzazione e dalla possibilità di omettere il “causalone”.La reputazione delle collaborazioni e delle partite IVA era da tempo segnata (per la intrinseca pericolosità) da parte delle aziende, il contratto di inserimento è stato abrogato,le agevolazioni alle assunzioni femminili sono al palo per la solita non immediata attuabilità delle leggi italiane (da definire ancora territori e tipi di impiego). Poiché è aumentato il contributo per l'ASPI è diventato più costoso licenziare quindi si preferisce addirittura non assumere. Nè tanto meno le aziende sono propense a versare i contributi relativi ai fondi di solidarietà bilaterale e residuale.
Un capolavoro quindi cui oltre alla Fornero ha sicuramente concorso l'elite amministrativa del Ministero del Lavoro che ha fornito la propria preziosa consulenza tecnica a supporto del Ministro. Anche l'Italia pertanto possiede le sue armi di distruzione di massa. Come rimediare? Qui la confusione rischia di accentuarsi. Il PD è per una modifica della riforma, il PDL per abolirla, Monti (cioè Ichino) per sperimentare nuove soluzioni. Molto dipenderà da chi ricoprirà il posto di Ministro del Lavoro e dalle spinte che verranno, su un tema tanto sensibile, dalla sinistra estrema, dalla lega, dai grillini e, ovviamente, dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Dalla lettura delle varie posizioni in campo alcune osservazioni sono d'obbligo.
Il PD appare eccessivamente attardato in una visione ingegneristica del diritto del lavoro. L'impressione è che abbia difficoltà ad elaborare un modello coerente e compiuto e, probabilmente, sia intenzionato in futuro ad appaltare alla CGIL e alla Camusso , volta a volta, l'elaborazione di proposte da far proprie come governo in cambio di una pace sociale (e qui non sembra lecito attendersi uno scavalcamento da parte di CISL, UIL e UGL). Da un punto di vista tecnico è prevedibile che si ripropongano gli stessi errori compiuti quando si riformò la materia del lavoro pubblico. Un groviglio di circolari, decreti attuativi, protocolli di intesa che rischia di far diventare il diritto del lavoro italiano ancor più giungla di come lo sia attualmente. Unico sollievo: forse per un bel po' di tempo ci verrà risparmiata l'inutile polemica sull'articolo 18 (forse l'argomento che alle aziende interessa di meno, in quanto non a tutti è noto che le aziende non vogliono licenziare ma crescere, produrre e assumere alle condizioni più favorevoli possibili). Il PD non si occuperà di pensioni (non smetterà mai di ringraziare la Fornero per averci lavorato sopra sporcandosi fino al collo) se non per sanare la vicenda esodati effettivamente imbarazzante per l'elettorato di riferimento L'art. 8 di Sacconi per il PD è come l'alieno di Roswell di cui si debba fare l'autopsia: ancora non ha capito da dove cominciare,se la contrattazione aziendale è un rischio o un opportunità: poco male: saranno gatte da pelare per la CGIL....
L'uomo di punta per la Lista Monti è Ichino, uscito sconfitto anche lui dalle primarie del PD. Ovvio che per questo motivo e per la sua scelta di cambiare schieramento, nonché per una vecchia ruggine tra lui e l'Amministrazione del Lavoro, sarà difficile che la sua proposta possa essere influente, quanto meno nella prima parte della legislatura. Il professore è divenuto molto più prudente (il tritacarne in cui si è ficcata la Fornero ha spaventato molti studiosi) e pone l'accento sull'aspetto sperimentale della propria proposta perchè neppure lui sa se possa davvero funzionare nel caos del mondo del lavoro in Italia. Diversi sono i punti deboli della proposta. In sintesi:le imprese sono stanche di esperimenti: vogliono lavorare e in sicurezza, altrimenti vanno all'estero. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato (illusorio) rischia più di essere un dogma che una realtà. Forse è bene che si elaborino modelli alternativi in cui tutti, senza privilegi, possano cambiare lavoro nella vita in piena sicurezza. Il precariato non è sgradevole tanto per la durata determinata ma per essere sfruttamento sottopagato e ricattato. Più che la durata, qui il tema è la dignità delle condizioni di lavoro e la sufficienza della retribuzione. Quindi secondo noi, anche da parte di Ichino c'è un evidente ritardo interpretativo. Di ridurre il cuneo fiscale Ichino sa meglio di noi che non è aria, almeno finchè i costi della PA saranno a questi livelli. Ichino poi dovrebbe sapere che l'Outplacement in Italia il soggetto pubblico non sa farlo e quindi non sarebbe gratuito. E delude quando scomunica l'art. 8 di Sacconi in nome del totem CCNL. Ci saremmo aspettati un po' più di coraggio nel valorizzare la contrattazione aziendale, l'unica che può sparigliare il pluridecennale immobilismo dell'assetto sindacale italiano.
Quanto al PDL pesa su questo schieramento l'eredità della gestione Sacconi cui non si può non pensare in relazione alla credibilità delle intenzioni di modificare realmente, questa volta, il mercato del lavoro. Certo, non si può negare che la scelta sia chiara (abolire la riforma Fornero e tornare alla Legge Biagi) e che il quadro ideologico sia coerente. Il punto debole è nella dimostrata incapacità, in questi anni, di quella parte, di saper unire e non dividere il mondo del lavoro su una prospettiva condivisa. E in Italia la riforma del Lavoro o la si fa tutti assieme o non la si fa. Anche in questo caso, come per Ichino, il contrasto tra tempo indeterminato e precariato è posto in maniera non corretta e fuorviante, in maniera cioè poco moderna. Ovviamente la validità dell'art. 8 di Sacconi è ribadita ma ci sarebbe più piaciuta una netta presa di distanze da visioni dello stesso penalizzanti per le condizioni dei lavoratori. Bene abbattere il totem del CCNL ma per migliorare le condizioni di imprese e lavoratori , non per peggiorarle perchè non è così che l'economia cresce. Quanto al tema della liberazione del lavoro dai vincoli fiscali e burocratici, lo stesso è convincente come sempre ma in realtà è rimasto in questi anni una mera utopia nonostante le responsabilità di governo ricoperte.
In conclusione auguriamo a tutte le forze politiche, dopo le elezioni, di riuscire a realizzare qualcosa di buono e costruttivo per tutti i lavoratori italiani. Ne sentiamo veramente il bisogno.

I DIPENDENTI PUBBLICI E LA POLEMICA SUI COSTI DELLA BUROCRAZIA

I dati diffusi da Confartigianato sui costi della burocrazia fanno impressione. Se ne parla da anni ma evidentemente fare qualcosa di serio per ridurla, razionalizzarla e modernizzarla si è rivelato impossibile.
Diamo per scontato che sull'interpretazione del fenomeno e sull'identificazione di esso come un problema (“il” problema?) si sia concordi. Per lo meno tra i cittadini che non abbiano le mani in pasta con quel groviglio di interessi e vogliano sinceramente il bene di sé stessi, delle loro famiglie, delle loro imprese (se non le hanno già chiuse).La domanda capitale è : “che fare?” ma soprattutto “chi può fare di più?” (l'assonanza sanremese è puramente casuale).
Soggetti politici che vogliano veramente innovare, all'orizzonte, non se ne vedono. Per ragioni diverse e comprensibili. Uno schieramento ha nell'elettorato appartenente al pubblico impiego uno dei propri pilastri. Un altro è, per sua natura, punto di riferimento, di fatto, della dirigenza (e si sa che i generali, senza un esercito, anche scalcinato, contano ben poco) cioè di chi nella PA è presente non a caso e svolge ruolo di garante per il perpetuarsi del potere, un altro ancora ha capito, sin dal 1994 che anche se a malincuore e turandosi il naso con la burocrazia deve fare i conti (e non può regolare i conti) se non vuole che le proprie “riforme” tese a favorire determinate categorie e territori serbatoio elettorale si spengano nel nulla. Altri schieramenti, oggi marginali, abituiamoci a valutarli meglio una volta che avranno avuto veramente a che fare col mostro. Ne usciranno (la storia ci dice questo) o fagocitati, o isolati e sconfitti oppure ne assaggeranno per un po' i privilegi in attesa della normalizzazione. Soggetti economico-imprenditoriali hanno dimostrato di avere un rapporto di amore-odio con la burocrazia. La detestano quando la stessa manda a monte i propri affari ma spesso, in silenzio e di nascosto, cercano di mettersi d'accordo con essa, anche illecitamente, per fregare i concorrenti. Diciamo poi che in Italia questi soggetti non hanno mai brillato per attaccamento ad interessi superiori o al bene comune. Meglio non illudersi e non fare affidamento su di loro. I sindacati grandi e storici sono in rapporto di interesse con gli alti livelli burocratici. Da uno scambio con essi derivano i residui favori e privilegi che riescono a strappare per conservare gli iscritti da loro rappresentati, che si accontentano sempre di meno, così come quei sindacati li hanno gradualmente abituati a fare. I sindacati piccoli sono stati annullati da una normativa sulla rappresentatività di cui sinora né loro né altri hanno pienamente compreso la natura sostanzialmente ingannevole e antidemocratica (cosa c'è di più autoritario della finta democrazia?). Restano i lavoratori pubblici, cioè noi, per la verità sempre più presi dal problema di campare giorno per giorno più che dalle preoccupazioni sulla sorte della democrazia. Diciamo loro: quando avrete tempo di rifletterci vi accorgerete che in Italia nulla è cambiato e nulla muterà finchè non saranno proprio i lavoratori pubblici a far propria la bandiera della lotta alla burocrazia (già, proprio quella che apparentemente vi dà da mangiare – anche se in realtà è il contribuente che lo fa- e quella nella quale sognate ancora che un domani vostro figlio possa assere assunto tramite un concorso), della battaglia perchè vengano ridotti gli adempimenti per avviare una nuova impresa, per costituire un nuovo rapporto di lavoro, i passaggi per accedere al credito o quelli fiscali. Così come per ridurre e semplificare le leggi e per digitalizzare la pubblica amministrazione. Perchè innanzitutto voi (noi) siamo quelli ad aver bisogno di una giustizia veloce ed efficiente, di servizi alla famiglia veri , diffusi, alla portata delle nostre tasche. Prendiamola allora in mano questa bandiera e muoviamoci, non fidandoci di coloro che dicono che se si riducesse la burocrazia questo significherebbe perdere tanti posti di lavoro impiegatizi. Ci ricattano e ci ingannano, per farsi sempre gli affari loro. Ragioniamo con la nostra testa, guardiamo (almeno su questo) all'Europa e lasciamo al loro destino i demagoghi sindacali , gli unici che hanno interesse a che si perpetui questo sistema perverso, temendo che in caso contrario dovrebbero tornare a lavorare sul serio.

domenica 10 febbraio 2013

PERCHE' IL PRESIDENTE DI UN AUTHORITY NON DOVREBBE ESSERE UN EX POLITICO...

Lo schema di decreto legislativo anticorruzione che riguarda la parte relativa al riordino della trasparenza sul web è stata oggetto dell'esame dell'Authority sulla Privacy, presieduta da un ex politico.
Il risultato è interessantissimo perchè, nell'elencare quali siano i dati non pubblicizzabili e quali quelli pubblicizzabili (e, questi ultimi, entro che limiti) il Garante ha fornito all'opinione pubblica una informazione (questa si completa) di cosa dovrebbe disporre una vera legge anticorruzione che tutti i partiti, peraltro, promettono, in campagna elettorale, di voler approvare nel futuro Parlamento.
Il garante non vuole che si pubblichino i dati sulle consulenze (e relativi compensi) dei pubblici dipendenti.. Inoltre ritiene che vada rispettata la riservatezza dei parenti dei politici. Non solo la moglie di Cesare, quindi, potrà d'ora in poi sentirsi al sicuro da occhi e domande indiscrete sulla propria situazione patrimoniale ma tutta la folta parentela. Inoltre anche ciò che sarà pubblicato lo dovrà essere a termine e/o con limitazioni di accessibilità.Forse perchè , come il pesce, alla lunga la puzza di questi dati possa essere avvertita da tanti, da troppi, anche da quelli con il naso (e non solo quello) chiuso.Via libera invece , riguardo ai dipendenti pubblici, per le retribuzioni tabellari (notoriamente variabili e a sorpresa....) e per i curricula (notoriamente veritieri.....). Se questa presa di posizione ha leggermente interdetto l'attuale Ministro della Funzione Pubblica (di solito imperturbabile ed equilibrato) , come appare dalle dichiarazioni rese alla stampa, significa che effettivamente si tratta di qualcosa di pesante. Nella speranza che dopo le elezioni si cambi rotta nel Paese e nelle Istituzioni, l'AGL , sommessamente, rinnova la richiesta fatta che vengano resi pubblici non solo l'ammontare dei premi ricevuti dai dirigenti della PA ma anche quali obbiettivi raggiunti li giustifichino. Insomma, ci piacerebbe che un domani , come accade per i piloti di Formula 1, il politico (e soprattutto il suo serbatoio = portafoglio) , venga pesato prima e dopo la gara (cioè l'incarico rivestito) per verificare che si sia comportato con lealtà e correttezza. .Nel frattempo, non sarebbe male se il nuovo Parlamento varasse una norma che non consentisse ad un ex parlamentare di essere membro (né tanto meno Presidente) di Authority. Crediamo che il motivo sia evidente...