In queste ore gli italiani stanno
scegliendo chi li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna
l'attenzione è caduta anche sul modo di sostenere la cultura, un
bene fondamentale per il nostro Paese. Tanti lavoratori (attuali e
potenziali) sono interessati a questo argomento e quindi è bene che
anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato (e non
ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni,
“con la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla
dicendo che è “una boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante
capire da dove essa tragga origine: indubbiamente da una visione
rozza e semplicistica dell'andamento e dello sviluppo della nostra
società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la cultura)
pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come
mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio
fisso agli operatori della cultura. Si è fatta strada allora una
“terza via” quella di promuovere l'intervento dei capitali
privati nella cultura, con un mix di soluzioni a volte rimaste solo a
livello di intenzioni a volte con risultati contraddittori e comunque
a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un po' anche sul
mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di
“schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste
vicende le ha seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere
un tratto caratterizzante dell'evoluzione di questa diatriba fino ai
nostri tempi. Ossia che una volta si combatteva in nome di una
ideologia, poi, più avanti, la motivazione era individuabile
nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti
sia le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si
parte dalla propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di
partiti, da lì si cercano poltrone, occasioni di lavoro,
finanziamenti o, quanto meno, uno stipendio fisso e, sempre per i
soldi, si è disposti a fare, in campo culturale, il salto della
quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti rivoluzioni di
pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera
imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di
scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla
nostra Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione
e, come noto, l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può
fare e andare dove meglio crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto
potenziali) del cosiddetto settore culturale hanno ormai imparato
(come quelli dell'istruzione o dell'università) a non farsi
eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli
di studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di
incrementare anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare,
farsi una famiglia o migliorare la vita di quella che già si ha. Noi
non abbiamo pregiudiziali ideologiche nei confronti del ritorno (in
realtà più o meno ci sono sempre stati) dei Mecenati (i privati)
nella cultura italiana oppure nei confronti di meccanismi di
incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel
rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei
quali l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o
improbabile per scarsa convenienza economica. Diciamo solo che non si
può ridurre la lotta sindacale nella mera difesa di posti e
retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché, anche in caso di
vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico dei
vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover
seguire gli input politici della classe dirigente al governo in quel
momento e che magari ti ha fatto il “favore” di “salvarti” a
spese del contribuente. Non sarebbe più una cultura veramente
libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per
l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la
cultura derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso
dei privati . Non parliamo poi della nefasta esperienza della
lottizzazione politico-partitica di tante istituzioni culturali. E
ovviamente non si può chiedere a un sindacato che abbia a cuore gli
interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non
indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi
processi e operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura,
se si ritengono veramente portatori di istanze decisive per una
società migliore, devono cominciare, su queste questioni (che
riguardano il prosieguo o i presupposti di una loro eventuale
attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro testa
che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni
nei quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato
il loro destino. E dire se per loro è più importante considerare
come traguardo il posto e lo stipendio fisso oppure iniziare a
rischiare con tutti quei cittadini che, da altri punti di partenza,
sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di sicurezza. Come
possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la
cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più
avanzati di convivenza civile se continuano ad affidare e a
incanalare le proprie speranze in organismi che li hanno sempre mal
sopportati e trascurati e che nella migliore delle ipotesi cercano di
tener buoni con uno stipendio fisso (temporaneo) o con finanziamenti
clientelari alle loro iniziative? E non instaurando invece un dialogo
vero con tutti i cittadini, anche quelli politicamente e socialmente
più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non cadete nel
ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a
interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più
distanti da voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo
le idee di quell'intellettualità che da tempo individua modelli
diversi e alternativi di sviluppo, culturale e materiale.
domenica 24 febbraio 2013
PRECARI SCUOLA: 300 MILA CAUSE?
Un docente precario di educazione
fisica e di sostegno ha fatto causa al MIUR per mancata
stabilizzazione e ha ottenuto dal giudice del lavoro di Trapani un
risarcimento di più di 150 mila euro.
Il giudice ha tenuto conto dei recenti
orientamenti della giurisprudenza e delle norme nazionali e
comunitarie a tutela dei lavoratori e riconosciuto all'insegnante i
danni subiti per lucro cessante e danno emergente causati dalla
mancata stabilizzazione. E per i possibili mancati contratti.La
domanda è: visto l'elevato tasso di complicità dei sindacati
rappresentativi con le gerarchie ministeriali questa notizia verrà
adeguatamente diffusa? E si faranno avanti sindacati disposti ad
organizzare e coordinare la possibilità che 300.000 precari possano
essere dal futuro governo stabilizzati o risarciti? E eventuali
sentenze favorevoli saranno eseguibili o verranno riversate su noi
contribuenti con una ulteriore mazzata fiscale?
Per quanto ci compete, rileviamo solo
che ha inciso più, sulla questione, una sentenza della magistratura
che l'azione di anni di sindacati forti e rappresentativi solo sulla
carta che non hanno saputo fare, come forze sociali, il loro dovere.
Se i lavoratori, nel Pubblico Impiego, vorranno ottenere qualcosa e
presto dovranno evidentemente affidarsi a Sindacati non compromessi
con la Politica e con l'Alta Dirigenza e che puntino più al sodo.Non
sempre ci sarà un Giudice a Berlino...
domenica 17 febbraio 2013
LAVORO: PARTITA DAL PORTO FORNERO, UNA ZATTERA ALLA DERIVA NELLA NOTTE GALLEGGIA SULLA PALUDE DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI. I TRE MAGGIORI SCHIERAMENTI DISCORDI SUL DOPO ELEZIONI.
E' di pochi giorni fa l'ultimo richiamo
dell'OCSE che come al solito, all'italiana, verrà letto dagli
interessati, in più maniere tra loro contraddittorie. Dice l'OCSE
che più che il posto, va protetto il reddito del lavoratore. Ma i
soldi per farlo, in Italia, ci saranno?Le leggi, infatti, come noto,
non producono di per sé nuove risorse.Anzi, per raggiungere
l'obbiettivo spesso ne richiedono di nuove. Sempre OCSE sostiene che
ciò influirebbe sulla migliore dislocazione della forza lavoro. Ma
già qui emerge una divergenza di impostazione tra una Europa
liberista, che ipotizza un processo di causa -effetto spontaneo e una
visione italiana statalista e dirigista che unanimemente ritiene che
questi processi vadano guidati da politiche attive del lavoro (per la
verità solo nell'ultimissima comunicazione l'OCSE ne fa cenno, senza
troppa convinzione) , mai realmente fatte in decenni nonostante le
decine di migliaia di dipendenti pubblici impegnati nelle relative
amministrazioni di cui non si vuole ammettere , per motivi
clientelari, l'inutilità. Sarà dura realizzare la flessibilità in
entrata e uscita richiesta dall'OCSE quando la mentalità prevalente
è quella che l'una e l'altra parte , nelle due fasi, debbano essere
più brave a fregare la controparte che a rispettare regole di
correttezza e civiltà. Tutto un altro mondo, quindi. In ogni caso in
Italia, prima del 2017 un sistema universale di protezione sociale
per chi perde il lavoro non sarà realizzabile e quindi su questo,
per il momento, a meno che non siano scoperti pozzi di petrolio in
Via Flavia, è meglio mettersi l'anima in pace e proseguire coi
vecchi ammortizzatori. Già il Fondo Monetario Internazionale aveva
cominciato a snocciolare questo libro dei sogni: riforma della
giustizia, riforma tributaria, riforma della scuola e
dell'università, no ai condoni, ridurre il cuneo
fiscale,liberalizzazioni, privatizzazioni, ecc. Con un po' di ritardo
forse: qualcuno dovrebbe spiegare all'OCSE che in Italia le tasse
universitarie è inutile aumentarle ancora visto che ormai gli
studenti stanno abbandonando le facoltà sia per i già alti costi
sia per l'inutilità della laurea nell'attuale mercato del lavoro. E
con troppa prudenza, visto che lascia la porta aperta e quindi
ammette una modulazione temporale degli interventi in tutti i settori
di cui si propone la riforma compatibilmente con le esigenze di
bilancio. Quindi se ne parlerà tra anni. Per cui: parole al vento.
Nel frattempo la riforma Fornero si delinea (lo dicono gli
imprenditori e non stranamente quei partiti che dicono di voler
rappresentare il lavoro dipendente, il più colpito dal capolavoro
della professoressa torinese) come un disastro epocale. . Ha
aggravato i costi nell'utilizzo di apprendistato e lavoro a termine,
ha concorso alla perdita di ulteriori 320 mila posti di lavoro e a
un tasso di disoccupazione, specie giovanile, che da tempo non si
riscontrava. Le aziende fanno sempre meno contratti, soffocate da
burocrazia asfissiante e oneri inutili. Il contratto di apprendistato
è affondato per l'aumento della contribuzione, per il vincolo di
stabilizzazione e, per la verità, anche per i ritardi delle
Regioni. Analoghe disavventure per il contratto a tempo determinato,
grazie all'aumento della contribuzione, non riequilibrato dal premio
di stabilizzazione e dalla possibilità di omettere il “causalone”.La
reputazione delle collaborazioni e delle partite IVA era da tempo
segnata (per la intrinseca pericolosità) da parte delle aziende, il
contratto di inserimento è stato abrogato,le agevolazioni alle
assunzioni femminili sono al palo per la solita non immediata
attuabilità delle leggi italiane (da definire ancora territori e
tipi di impiego). Poiché è aumentato il contributo per l'ASPI è
diventato più costoso licenziare quindi si preferisce addirittura
non assumere. Nè tanto meno le aziende sono propense a versare i
contributi relativi ai fondi di solidarietà bilaterale e residuale.
Un capolavoro quindi cui oltre alla
Fornero ha sicuramente concorso l'elite amministrativa del Ministero
del Lavoro che ha fornito la propria preziosa consulenza tecnica a
supporto del Ministro. Anche l'Italia pertanto possiede le sue armi
di distruzione di massa. Come rimediare? Qui la confusione rischia di
accentuarsi. Il PD è per una modifica della riforma, il PDL per
abolirla, Monti (cioè Ichino) per sperimentare nuove soluzioni.
Molto dipenderà da chi ricoprirà il posto di Ministro del Lavoro e
dalle spinte che verranno, su un tema tanto sensibile, dalla sinistra
estrema, dalla lega, dai grillini e, ovviamente, dalle associazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Dalla lettura delle varie posizioni in
campo alcune osservazioni sono d'obbligo.
Il PD appare eccessivamente attardato
in una visione ingegneristica del diritto del lavoro. L'impressione
è che abbia difficoltà ad elaborare un modello coerente e compiuto
e, probabilmente, sia intenzionato in futuro ad appaltare alla CGIL e
alla Camusso , volta a volta, l'elaborazione di proposte da far
proprie come governo in cambio di una pace sociale (e qui non sembra
lecito attendersi uno scavalcamento da parte di CISL, UIL e UGL). Da
un punto di vista tecnico è prevedibile che si ripropongano gli
stessi errori compiuti quando si riformò la materia del lavoro
pubblico. Un groviglio di circolari, decreti attuativi, protocolli di
intesa che rischia di far diventare il diritto del lavoro italiano
ancor più giungla di come lo sia attualmente. Unico sollievo: forse
per un bel po' di tempo ci verrà risparmiata l'inutile polemica
sull'articolo 18 (forse l'argomento che alle aziende interessa di
meno, in quanto non a tutti è noto che le aziende non vogliono
licenziare ma crescere, produrre e assumere alle condizioni più
favorevoli possibili). Il PD non si occuperà di pensioni (non
smetterà mai di ringraziare la Fornero per averci lavorato sopra
sporcandosi fino al collo) se non per sanare la vicenda esodati
effettivamente imbarazzante per l'elettorato di riferimento L'art. 8
di Sacconi per il PD è come l'alieno di Roswell di cui si debba fare
l'autopsia: ancora non ha capito da dove cominciare,se la
contrattazione aziendale è un rischio o un opportunità: poco male:
saranno gatte da pelare per la CGIL....
L'uomo di punta per la Lista Monti è
Ichino, uscito sconfitto anche lui dalle primarie del PD. Ovvio che
per questo motivo e per la sua scelta di cambiare schieramento,
nonché per una vecchia ruggine tra lui e l'Amministrazione del
Lavoro, sarà difficile che la sua proposta possa essere influente,
quanto meno nella prima parte della legislatura. Il professore è
divenuto molto più prudente (il tritacarne in cui si è ficcata la
Fornero ha spaventato molti studiosi) e pone l'accento sull'aspetto
sperimentale della propria proposta perchè neppure lui sa se possa
davvero funzionare nel caos del mondo del lavoro in Italia. Diversi
sono i punti deboli della proposta. In sintesi:le imprese sono
stanche di esperimenti: vogliono lavorare e in sicurezza, altrimenti
vanno all'estero. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(illusorio) rischia più di essere un dogma che una realtà. Forse è
bene che si elaborino modelli alternativi in cui tutti, senza
privilegi, possano cambiare lavoro nella vita in piena sicurezza. Il
precariato non è sgradevole tanto per la durata determinata ma per
essere sfruttamento sottopagato e ricattato. Più che la durata, qui
il tema è la dignità delle condizioni di lavoro e la sufficienza
della retribuzione. Quindi secondo noi, anche da parte di Ichino c'è
un evidente ritardo interpretativo. Di ridurre il cuneo fiscale
Ichino sa meglio di noi che non è aria, almeno finchè i costi della
PA saranno a questi livelli. Ichino poi dovrebbe sapere che
l'Outplacement in Italia il soggetto pubblico non sa farlo e quindi
non sarebbe gratuito. E delude quando scomunica l'art. 8 di Sacconi
in nome del totem CCNL. Ci saremmo aspettati un po' più di coraggio
nel valorizzare la contrattazione aziendale, l'unica che può
sparigliare il pluridecennale immobilismo dell'assetto sindacale
italiano.
Quanto al PDL pesa su questo
schieramento l'eredità della gestione Sacconi cui non si può non
pensare in relazione alla credibilità delle intenzioni di modificare
realmente, questa volta, il mercato del lavoro. Certo, non si può
negare che la scelta sia chiara (abolire la riforma Fornero e tornare
alla Legge Biagi) e che il quadro ideologico sia coerente. Il punto
debole è nella dimostrata incapacità, in questi anni, di quella
parte, di saper unire e non dividere il mondo del lavoro su una
prospettiva condivisa. E in Italia la riforma del Lavoro o la si fa
tutti assieme o non la si fa. Anche in questo caso, come per Ichino,
il contrasto tra tempo indeterminato e precariato è posto in maniera
non corretta e fuorviante, in maniera cioè poco moderna. Ovviamente
la validità dell'art. 8 di Sacconi è ribadita ma ci sarebbe più
piaciuta una netta presa di distanze da visioni dello stesso
penalizzanti per le condizioni dei lavoratori. Bene abbattere il
totem del CCNL ma per migliorare le condizioni di imprese e
lavoratori , non per peggiorarle perchè non è così che l'economia
cresce. Quanto al tema della liberazione del lavoro dai vincoli
fiscali e burocratici, lo stesso è convincente come sempre ma in
realtà è rimasto in questi anni una mera utopia nonostante le
responsabilità di governo ricoperte.
In conclusione auguriamo a tutte le
forze politiche, dopo le elezioni, di riuscire a realizzare qualcosa
di buono e costruttivo per tutti i lavoratori italiani. Ne sentiamo
veramente il bisogno.
I DIPENDENTI PUBBLICI E LA POLEMICA SUI COSTI DELLA BUROCRAZIA
I dati diffusi da Confartigianato sui
costi della burocrazia fanno impressione. Se ne parla da anni ma
evidentemente fare qualcosa di serio per ridurla, razionalizzarla e
modernizzarla si è rivelato impossibile.
Diamo per scontato che
sull'interpretazione del fenomeno e sull'identificazione di esso come
un problema (“il” problema?) si sia concordi. Per lo meno tra i
cittadini che non abbiano le mani in pasta con quel groviglio di
interessi e vogliano sinceramente il bene di sé stessi, delle loro
famiglie, delle loro imprese (se non le hanno già chiuse).La domanda
capitale è : “che fare?” ma soprattutto “chi può fare di
più?” (l'assonanza sanremese è puramente casuale).
Soggetti politici che vogliano
veramente innovare, all'orizzonte, non se ne vedono. Per ragioni
diverse e comprensibili. Uno schieramento ha nell'elettorato
appartenente al pubblico impiego uno dei propri pilastri. Un altro è,
per sua natura, punto di riferimento, di fatto, della dirigenza (e si
sa che i generali, senza un esercito, anche scalcinato, contano ben
poco) cioè di chi nella PA è presente non a caso e svolge ruolo di
garante per il perpetuarsi del potere, un altro ancora ha capito, sin
dal 1994 che anche se a malincuore e turandosi il naso con la
burocrazia deve fare i conti (e non può regolare i conti) se non
vuole che le proprie “riforme” tese a favorire determinate
categorie e territori serbatoio elettorale si spengano nel nulla.
Altri schieramenti, oggi marginali, abituiamoci a valutarli meglio
una volta che avranno avuto veramente a che fare col mostro. Ne
usciranno (la storia ci dice questo) o fagocitati, o isolati e
sconfitti oppure ne assaggeranno per un po' i privilegi in attesa
della normalizzazione. Soggetti economico-imprenditoriali hanno
dimostrato di avere un rapporto di amore-odio con la burocrazia. La
detestano quando la stessa manda a monte i propri affari ma spesso,
in silenzio e di nascosto, cercano di mettersi d'accordo con essa,
anche illecitamente, per fregare i concorrenti. Diciamo poi che in
Italia questi soggetti non hanno mai brillato per attaccamento ad
interessi superiori o al bene comune. Meglio non illudersi e non fare
affidamento su di loro. I sindacati grandi e storici sono in rapporto
di interesse con gli alti livelli burocratici. Da uno scambio con
essi derivano i residui favori e privilegi che riescono a strappare
per conservare gli iscritti da loro rappresentati, che si
accontentano sempre di meno, così come quei sindacati li hanno
gradualmente abituati a fare. I sindacati piccoli sono stati
annullati da una normativa sulla rappresentatività di cui sinora né
loro né altri hanno pienamente compreso la natura sostanzialmente
ingannevole e antidemocratica (cosa c'è di più autoritario della
finta democrazia?). Restano i lavoratori pubblici, cioè noi, per la
verità sempre più presi dal problema di campare giorno per giorno
più che dalle preoccupazioni sulla sorte della democrazia. Diciamo
loro: quando avrete tempo di rifletterci vi accorgerete che in Italia
nulla è cambiato e nulla muterà finchè non saranno proprio i
lavoratori pubblici a far propria la bandiera della lotta alla
burocrazia (già, proprio quella che apparentemente vi dà da
mangiare – anche se in realtà è il contribuente che lo fa- e
quella nella quale sognate ancora che un domani vostro figlio possa
assere assunto tramite un concorso), della battaglia perchè vengano
ridotti gli adempimenti per avviare una nuova impresa, per costituire
un nuovo rapporto di lavoro, i passaggi per accedere al credito o
quelli fiscali. Così come per ridurre e semplificare le leggi e per
digitalizzare la pubblica amministrazione. Perchè innanzitutto voi
(noi) siamo quelli ad aver bisogno di una giustizia veloce ed
efficiente, di servizi alla famiglia veri , diffusi, alla portata
delle nostre tasche. Prendiamola allora in mano questa bandiera e
muoviamoci, non fidandoci di coloro che dicono che se si riducesse la
burocrazia questo significherebbe perdere tanti posti di lavoro
impiegatizi. Ci ricattano e ci ingannano, per farsi sempre gli affari
loro. Ragioniamo con la nostra testa, guardiamo (almeno su questo)
all'Europa e lasciamo al loro destino i demagoghi sindacali , gli
unici che hanno interesse a che si perpetui questo sistema perverso,
temendo che in caso contrario dovrebbero tornare a lavorare sul
serio.
domenica 10 febbraio 2013
PERCHE' IL PRESIDENTE DI UN AUTHORITY NON DOVREBBE ESSERE UN EX POLITICO...
Lo schema di decreto legislativo anticorruzione che riguarda la parte relativa al riordino della trasparenza sul web è stata oggetto dell'esame dell'Authority sulla Privacy, presieduta da un ex politico.
Il risultato è interessantissimo perchè, nell'elencare quali siano i dati non pubblicizzabili e quali quelli pubblicizzabili (e, questi ultimi, entro che limiti) il Garante ha fornito all'opinione pubblica una informazione (questa si completa) di cosa dovrebbe disporre una vera legge anticorruzione che tutti i partiti, peraltro, promettono, in campagna elettorale, di voler approvare nel futuro Parlamento.
Il garante non vuole che si pubblichino i dati sulle consulenze (e relativi compensi) dei pubblici dipendenti.. Inoltre ritiene che vada rispettata la riservatezza dei parenti dei politici. Non solo la moglie di Cesare, quindi, potrà d'ora in poi sentirsi al sicuro da occhi e domande indiscrete sulla propria situazione patrimoniale ma tutta la folta parentela. Inoltre anche ciò che sarà pubblicato lo dovrà essere a termine e/o con limitazioni di accessibilità.Forse perchè , come il pesce, alla lunga la puzza di questi dati possa essere avvertita da tanti, da troppi, anche da quelli con il naso (e non solo quello) chiuso.Via libera invece , riguardo ai dipendenti pubblici, per le retribuzioni tabellari (notoriamente variabili e a sorpresa....) e per i curricula (notoriamente veritieri.....). Se questa presa di posizione ha leggermente interdetto l'attuale Ministro della Funzione Pubblica (di solito imperturbabile ed equilibrato) , come appare dalle dichiarazioni rese alla stampa, significa che effettivamente si tratta di qualcosa di pesante. Nella speranza che dopo le elezioni si cambi rotta nel Paese e nelle Istituzioni, l'AGL , sommessamente, rinnova la richiesta fatta che vengano resi pubblici non solo l'ammontare dei premi ricevuti dai dirigenti della PA ma anche quali obbiettivi raggiunti li giustifichino. Insomma, ci piacerebbe che un domani , come accade per i piloti di Formula 1, il politico (e soprattutto il suo serbatoio = portafoglio) , venga pesato prima e dopo la gara (cioè l'incarico rivestito) per verificare che si sia comportato con lealtà e correttezza. .Nel frattempo, non sarebbe male se il nuovo Parlamento varasse una norma che non consentisse ad un ex parlamentare di essere membro (né tanto meno Presidente) di Authority. Crediamo che il motivo sia evidente...
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